/TO BE PLAYED.
Video, immagine in movimento e videoinstallazione nella
“generazione Ottanta”


Helen Dowling, Nina Fiocco, Anna Franceschini, Adelita Husni-Bey, Invernomuto,
Michal Martychowiec, Elena Mazzi, Jacopo Mazzonelli, Giulio Squillacciotti, Luca Trevisani

Un progetto di
Urbs Picta e Giardino Giusti

In collaborazione con ArtVerona, Careof


a cura di Jessica Bianchera e Marta Ferretti

Assistente curatoriale Giulia Costa

11 Ottobre - 22 Novembre 2019

Appartamento 900, Palazzo Giusti, Via Giardino Giusti 2, Verona




In occasione della 15^ edizione di ArtVerona, Urbs Picta e Giardino Giusti in collaborazione con Careof ha presentato “To Be Played - Video, immagine in movimento e videoinstallazione nella ‘generazione Ottanta’” con il patrocinio del del Ministero dei beni e delle attività culturali, della Provincia di Verona, del Comune di Verona e dell’Accademia di Belle Arti di Verona.



To be Played si inseriva in un più ampio programma di iniziative che Giardino Giusti sta portando avanti negli ultimi anni con l’obiettivo di tornare protagonista attivo del quartiere di Veronetta e della scena culturale veronese.
Per l’occasione Giardino Giusti ha presentato ufficialmente l’Appartamento 900, dimora della famiglia Giusti fino al 1944, nei cui ambienti si sviluppa il progetto allestitivo della mostra.
/LA MOSTRA

Introdotto nel corso degli anni Sessanta come documentazione di pratiche performative e divenuto nei Settanta linguaggio artistico autonomo, il video è uno di quei media artistici che dimostrano una stretta correlazione tra la ricerca artistica del Novecento e l’innovazione tecnologica. Oggi la sperimentazione sul video si dimostra una tra le principali protagoniste della ricerca di artisti che dopo aver assimilato dagli storici predecessori i tratti salienti delle possibili operatività, ne hanno fatto oggetto di una proliferazione di linguaggi che è caratteristica principale dell’epoca contemporanea.
To be played, in un primo capitolo d’indagine sulla generazione dei nati negli anni Ottanta, ha presentato il lavoro di una selezione di artisti che operano in maniera trasversale e con differenti approcci alle possibilità espressive, narrative e di display utilizzando linguaggi al confine tra il documentario, il cinema, la finzione e la sperimentazione sull'immagine in movimento.


Così se un’opera come Empire (2017) di Michal Martychowiec si configura come tassello di una ricerca che spazia dall’installazione alla fotografia alla performance al video, in questo caso citando la storia dell’arte (l’omonimo film di Andy Warhol) per condurre una riflessione sul concetto di libertà, un lavoro come Scala C, Interno 8 (2017) di Giulio Squillacciotti testimonia l’attenzione per un’indagine quasi antropologica condotta con uno sguardo decisamente registico su un ambiente domestico ormai disabitato.
Accostabile a queste riflessioni ma con taglio differente è Agency - giochi di potere (2014) di Adelita Husni-Bey: installazione video ispirata a un esercizio di cittadinanza di classe sviluppato in Inghilterra e attuato nel corso di una simulazione al Museo MAXXI di Roma.
Sulla contaminazione dei linguaggi, invece, Dido’s lament (2017) di Jacopo Mazzonelli lascia trapelare la doppia anima di un artista/musicista e il suo interesse per il “gesto musicale” mentre  Le Domestique (2015) di Nina Fiocco esplora la dimensione del linguaggio assunto come una forma di confine.


Particolare attenzione è prestata anche nei confronti dell’utilizzo dei mezzi tecnici come strumenti che concorrono alla definizione del lavoro: ne è un esempio Something for the Ivory (2019) di Helen Dowling, video ipnotico a due canali in cui immagini di una singola figura di donna scorrono parallelamente per trasportare lo spettatore in una dimensione dove l’enfasi è posta sul colore, sul ritmo e sul montaggio.
Particolare attenzione è prestata anche nei confronti dell’utilizzo dei mezzi tecnici come strumenti che concorrono alla definizione del lavoro: ne è un esempio Something for the Ivory (2019) di Helen Dowling, video ipnotico a due canali in cui immagini di una singola figura di donna scorrono parallelamente per trasportare lo spettatore in una dimensione dove l’enfasi è posta sul colore, sul ritmo e sul montaggio.

Determinante il dialogo con lo spazio pensato come parte attiva del dispositivo generale della mostra. Nel Salone d’Onore, affiancata al video Wishes of a G (2014), campeggia Wax, Relax (2011) di Invernomuto: una maestosa grotta in cera bianca collocata agli antipodi rispetto alla grotta reale in fondo al viale dei cipressi.
Qui, dove un tempo un complesso sistema di specchi creava suggestivi giochi di luce in base alle ore del giorno e alle stagioni, Pirolisi solare (2017) di Elena Mazzi affronta il tema della ricerca scientifica sulle fonti di energia rinnovabile partendo da un precedente lavoro in cui aveva esplorato le possibilità d’intervento sulle problematiche ambientali della città di Venezia.

Infine, la questione generazionale: scegliendo di operare una campionatura sui nati negli Ottanta si intende avviare un affondo critico sullo stato della ricerca attuale procedendo secondo un criterio caro alla storiografia artistica. Anna Franceschini e Luca Trevisani (entrambi del ‘79) fungono da anello di collegamento con la generazione precedente.
Per la Franceschini è determinante la relazione dell’immagine con il supporto (in mostra alcuni lavori che ragionano sul concetto di “decorazione in movimento” e sulla dimensione cinematografica dello spazio domestico integrandosi nell’ambiente come fossero un unico organismo installativo) mentre in Physical examination (2014) di Trevisani l’attenzione si rivolge al mondo dei rettili e degli animali, e alla relazione dialettica tra opposti: ricerca teorica ed empirica, geometria e natura, organico e inorganico. 
Il percorso espositivo ha intercettato poi l'Archivio Video di Careof, costituitosi nel 1987 e diventato, con circa 8500 opere a oggi catalogate, uno dei più esaustivi e interessanti osservatori sulle produzioni artistiche italiane legate all’immagine in movimento. In mostra è stata data la possibilità di consultarne una parte grazie a un dispositivo che permetteva di esplorare il materiale per temi, categorie, parole chiave, diventando un’occasione di approfondimento e confronto rispetto ai lavori e alle operatività degli artisti invitati.
/TO BE PLAYED EDUCATIONAL

In collaborazione e con il sostegno di Fondazione Cariverona, To be played / Educational è stato un apparato di appuntamenti ideato per sostenere la formazione, la ricerca e l’integrazione che si è svolto durante tutto il periodo di esposizione al fine di rendere la mostra un momento partecipato e partecipativo per la vita della città, un’occasione di approfondimento e studio , un organismo vivo, capace di dialogare con le istituzioni e di aprirsi alla cittadinanza.
Si indirizzava a diversi pubblici: dagli addetti ai lavori, agli studenti, da chi già frequenta i circuiti dell’arte contemporanea, a chi si avvicina per la prima volta a questo mondo. 


Oltre a un programma di talk con gli artisti, i curatori ed esperti del settore, sono state organizzate visite guidate che hanno coinvolto da un lato gli studenti dell’Università degli Studi di Verona me mediatori culturali al fine di favorire una maggiore frequentazione da parte dei giovani del mondo dell’arte contemporanea, dall’altro appuntamenti di mediazione culturale in collaborazione con associazioni del territorio, Veronetta129 e Associazione Le Fate Onlus, che si occupano di accoglienza e integrazione al fine di aprire un dialogo con il quartiere di Veronetta - dove si trova Giardino Giusti - e la popolazione multietnica che lo abita; sono stati inoltre attivati un corso di storia della videoarte tenuto da Jessica Bianchera per approfondire gli aspetti storici e storico-artistici di questo medium e un workshop a conduzione di Giulio Squillacciotti, uno degli artisti in mostra, specificatamente destinato agli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Verona interessati ad approfondire il linguaggio del video.