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Urbs Picta x MAG Festival

24-27 agosto 2022 



Manuel Gardina, Shomei - The Gathering, 2022


Manuel Gardina (1990) è un artista bresciano che lavora con sculture e movimento, giocando con le reti neurali, il tempo e la percezione del soggetto. Utilizza risorse di animazioni 3D e archivi. Concentra il proprio lavoro sull'indagine dei nuovi media, volta a rivisitare e sintetizzare digitalmente il mondo circostante, analizzandolo con l'occhio del computer e traducendo la spontaneità in linguaggi programmati di codici e tecnologia, in una riflessione più ampia sul confine tra naturale e artificiale.

Shomei (signature/署名) è il suo ultimo lavoro audiovisivo che, attraverso una composizione illustrativa, intende indagare l'immaginario marcando il gesto: tenendo traccia del movimento dei fiori e di altri elementi naturali modellati digitalmente e restituendolo in forma di video, l’artista conduce una ricerca sull’immaginario estetico naturale e digitale. Tramite modellazione e simulazione di forze naturali come il vento e la gravità, l’artista crea dei prototipi di fiori e di elementi vegetali. Il movimento dei fiori lascia dietro di sé una traccia, una scia, leggera e colorata come una sorta di firma (da qui il titolo del lavoro) naturale, inaspettata e mutevole. L’audio che accompagna le immagini è composto da suoni e registrazioni ambientali selezionati dallo stesso artista, il quale propone una continua rivisitazione e sintetizzazione digitale del mondo che lo circonda.



Rinaldo Mutti, Like 2000 years ago Vitruvius said, 2022


Rinaldo Mutti (1994), fin da giovanissimo si dedica a studi artistici da una parte e acquisisce competenze chimiche dall’altra. Dopo aver lavorato in una fonderia, viaggiato in diverse città d’europa ed essersi dedicato all’arte del muralismo e del tatuaggio ha aperto spazi artistici nella sua città natale, Brescia. Oggi lavora come tecnico di laboratorio ed è grazie a questo, alla sua specializzazione sui metalli e la sua dimestichezza con attrezzature d’analisi scientifica, che realizza fotografie a microscopio di materiali organici e corporei. Like 2000 years ago Vitruvius said, è un lavoro che nasce proprio in laboratorio, da un’analisi e ingrandimento di fluidi corporei come lacrime e sangue. Ci viene permesso di osservare da vicino, in modo intimo, le sostanze che ci compongono, facendocene ammirare la complessità e moltitudine. L’immagine al macro, può farci vedere nuove architetture e superfici: si abbandona in questo modo l’idea di solido e di statico, con l’intenzione di creare collegamenti tra conoscenze e ambiti differenti, proprio come suggeriva l’architetto e scrittore romano Marco Vitruvius Pollio secoli fa.



Giacomo Bianco, UMANALACUNA, 2021


Giacomo Bianco (1994) è un fotografo con base tra Venezia e Milano. Dopo gli studi presso lo IUAV di Venezia e l’ISIA U di Urbino, è stato Fresheyes Talent 2021 e nel 2022 è tra gli artisti selezionati per Lunigiana Land Art. Il suo lavoro fotografico prende avvio  dall’esplorazione del mondo naturale, dal suo specifico interesse per la sfera del non umano e per le dinamiche di coesistenza tra le specie. Un archivio visivo aperto quindi al collezionare forme, istanti e soggetti accomunati da un’idea di precarietà insita in ogni forma vitale. Con la sua fotografia esplora costantemente nuove associazioni, in grado di strutturarsi e scomporsi abbracciando l’aspetto dialogico specifico delle immagini.

Attraverso il suo progetto UMANALACUNA, l’artista tenta di restituire un nuovo protagonismo, da secoli indebolito e spettacolarizzato, alla Laguna di Venezia e alla sua acqua: immaginandosi un utopistico volontario inabissamento della città di Venezia, che diventa sede di abitanti anfibi post-umani capaci di vivere nuovamente d’acqua e in armonia con essa. Attraverso questi scatti la Laguna torna ad assumere un ruolo attivo, consentendo il superamento della contemporanea lacuna mnemonica [dal lat. lacuna «laguna; cavità; mancanza»] che ne ha sconvolto gli equilibri idrodinamici.



Giovanni Borga, Cartografie Incerte, 2021 - in corso

Giovanni Borga (1998) è un artista visivo che vive e lavora tra Venezia e le pendici delle Prealpi Venete. Laureato in arti multimediali all’Università IUAV di Venezia, la sua pratica artistica è interdisciplinare ed è volta allo studio dei corpi nei loro campi relazionali di vulnerabilità e forza, le loro inattese metamorfosi e alleanze, la loro costruzione identitaria. Il lavoro che presenta dal titolo Cartografie incerte, è parte di uno studio sulla vitiligine che ricopre il suo corpo e sulle sue mutazioni nel tempo. La superficie dell’acqua e quella della pelle entrano qui in continua relazione: come acqua che sommerge e si ritira in un saluto alla terra, ogni giorno, seppur in modo apparentemente impercettibile, viene ristabilito tra le varie macchie-isole un legame nuovo, un accordo. La pelle dell’artista è uno spartito in costante riscrittura.


Chiara Fogliatti e Andrea Alecce, SWAP SWAP, 2022


Chiara Fogliatti e Andrea Alecce, provenienti da luoghi geografici e formazioni accademiche differenti, sono legati dal comune interesse per la ricerca fotografica in analogica. Propongono qui SWAP SWAP, un progetto a due sguardi: una serie di doppie esposizioni sullo stesso rullino che danno vita a pellicole risultanti dalla sovrapposizione di scatti realizzati in momenti e luoghi diversi (Marocco e Calabria) dai due autori. L’assetto figurativo dei soggetti lascia qui spazio a nuove immagini al limite tra il pattern e l’astrazione, in un continuo gioco tra staticità e movimento.   



Massimo Ippolito, Solitudo, 2016 - 2022


Massimo Ippolito (1988), vive a Verona dal 2015, dove lavora come creative director. La ricerca continua di stimoli trans-mediali provenienti soprattutto dalla street culture e dalle sub-culture underground, è il filo rosso che gioca un ruolo primario nella crescita e nel lavoro di Ippolito, sia all’interno dell’ambito lavorativo che in quello personale. La musica - la ricerca, la cura dei suoni e l’arte del campionamento - sono parte del suo percorso artistico fin dal lontano 2004. Le sue fotografie, sono scatti rubati a una realtà urbana sospesa, in cui le persone sono spesso (da) sole e “appese” all’interno di una cornice, di uno spazio vuoto che li circonda. Il progetto Solitudo nasce dai viaggi compiuti negli ultimi anni in Italia, in Europa e negli Stati Uniti. Il comune denominatore di questi scatti rubati, effimeri, con poche pose a disposizione, è quello di una solitudine dalla quale non si ha scampo, perché incastrata per sempre su una superficie. È una storia in divenire fatta di esseri umani fragili e lontani, pensanti e sognanti; persone come fantasmi che si muovono nello spazio vuoto che li circonda, immobili per sempre, ricordi di ciò che non è più presente.



Angela Fraja Bianchi, Il contatto sfiorato, 2022


Angela Fraja Bianchi è veronese di nascita e viaggiatrice per vocazione. Si dedica alla comunicazione e intermediazione in materia di ambiente, conservazione della biodiversità ed educazione ambientale. È grazie alla fotografia naturalistica che mostra e racconta la natura nei suoi diversi aspetti, comunicando la sua bellezza, importanza e complessità. Nelle sue fotografie viene analizzata la superficie naturale ed in particolare la superficie acquatica, luogo perfetto per osservare il ciclo vitale dove protagonisti non sono le solo differenti specie animali, ma sono la vita e la morte stesse. L’acqua è analizzata come l’habitat in cui alcuni animali riescono a camminare senza affondare, come i gerridi, o in cui il corpo si adatta ad una doppia vita tra l’ambiente acquatico e terrestre, come gli anfibi. Le sue fotografie vogliono far riflettere su come però l’acqua, allo stesso tempo, è superficie di separazione di un ambiente in cui noi umani non possiamo vivere, in cui non possiamo essere i padroni e in cui dovremmo solo limitarci a guardare, evidenziando quanto sia importante vivere i confini naturali senza invaderli.

Superfici


Testo a cura di Angelica Rivetti


In questa dodicesima edizione di MAG Festival, lo spazio naturale e architettonico che lo ospita, vive l’invasione dell’immagine: fissa e in movimento, video e fotografica, in bianco nero e a colori, tra mondo vegetale, animale e antropizzato. Due i punti in cui si sviluppa il progetto artistico: da un lato la facciata di Villa Romani diventa supporto per l’opera video site-specific di Manuel Gardina; dall’altro, tra gli alberi del parco, incroci di fili e teli stampati danno corpo alla mostra collettiva con lavori fotografici di sette giovani artiste e artisti. La concezione varia e multiforme della superficie è il tema al centro dei lavori artistici selezionati dal team curatoriale di Urbs Picta per MAG Festival. Giacomo Bianco (UMANALACUNA) propone un racconto utopistico in cui anfibi post-umani riescono finalmente a vivere in armonia con la Laguna veneziana e con la sua acqua, così che la superficie umana e quella lacustre si (con)fondano nell’ottica di un superamento degli squilibri idrodinamici che stanno portando a l'inabissamento di Venezia. Allo stesso tempo l’immagine poetica di Giovanni Borga (Cartografie incerte) punta l’attenzione sull’osservazione dell’epidermide umana e sulle sue anomalie attraverso uno studio – ancora in corso – della vitiligine presente sul suo stesso corpo. Si tratta di una condizione cronica della pelle caratterizzata da aree di depigmentazione nelle quali i melanociti vengono distrutti lasciando sul corpo macchie bianco-latte che possono mutare nel tempo. L’artista mette così in relazione la superficie della sua pelle con quella dell’acqua creando sofisticate associazioni visive. Rinaldo Mutti (Like 2000 years ago Vitruvius said), invece, sperimenta l’osservazione al microscopio elettronico di lacrime e sangue, restituendo tondi materici che sembrano mutare la loro identità diventando crateri lunari, foglie, ricami che emergono dal fondo nero. Con opposte tecniche fotografiche, poi, i lavori di Chiara Fogliatti con Andrea Alecce (SWAP SWAP) e di Angela Fraja Bianchi (Il contatto sfiorato), mostrano superfici naturali e animali spaziando tra l’astrazione e la figurazione: i primi sperimentano con la fotografia analogica dando vita a una serie di doppie esposizioni sullo stesso rullino che lasciano spazio a nuove immagini al limite tra il pattern e l’astrazione, in un continuo gioco tra staticità e movimento; la seconda, invece, osserva il mondo animale registrando con sguardo analitico le interazioni che intercorrono tra la fauna e le superfici acquatiche. Massimo Ippolito (Solitudo), infine, pone al centro della sua fotografia la figura umana sempre isolata e sospesa in spazi lontani quasi metafisici, giocando con lo spettatore che si trova immerso nel caos di un evento sociale e collettivo come un festival musicale in cui è raro fare esperienza della solitudine e del silenzio.

La scelta allestitiva nel bosco gioca, così, sulla volontà di creare un percorso espositivo in cui lo spettatore possa immergersi, vagare e perdersi, all’interno di un labirinto composto da teli semitrasparenti attraversabili sui quali è possibile osservare i vari lavori fotografici, come in una sorta di costellazione composta da linee vettoriali dalle quali hanno origine traiettorie inaspettate.
Alla superficie si rifà anche l’opera audiovisiva site-specific di Manuel Gardina (Shomei) proiettata sulla facciata di Villa Romani. Qui l’immagine in movimento pone al centro prototipi di fiori e di altri elementi naturali modellati digitalmente. Queste forme floreali, spinte idealmente dal vento o da una qualche forza gravitazionale, portano dietro di esse una scia, una leggera traccia, una sorta di firma (parola che da il titolo all’opera, shomei infatti significa “firma” in giapponese), accompagnata da registrazioni sonore ambientali scelte e sintetizzate digitalmente dall’artista per offrire un’esperienza totalizzante all’interno di un’ampia ricerca estetica sul rapporto tra vegetale e digitale, tra superfici naturali e artificiali, riassumendo così in qualche modo lo spirito che ha animato l’intero progetto espositivo.